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Io nel suono di Sivori

Il violinista Fulvio Luciani racconta l’emozione di aver suonato il violino del virtuoso genovese, l’unico allievo di Paganini, rimasto per troppi anni in silenzio

Il Giornale della Musica, novembre 2013


Quello tra violino e violinista è un ben strano rapporto, in cui entrano pulsioni e necessità. Tutto nasce da come lo si comanda, il violino: direttamente dall’immaginazione più che dal movimento delle dita, e attraverso un canale che corre dalla mente e per il verso opposto, come se lo strumento - che ai violinisti sembra avere una personalità, una coscienza e un suo discernimento - potesse anch’esso influire su chi lo sta suonando.

Ne nascono strani fenomeni, difficili da credere ma che molti dicono di aver notato; uno è che i violini imprigionano il suono di chi li ha suonati.


Qualche mese fa ho suonato a Genova la musica di Camillo Sivori, celeberrimo violinista ottocentesco. Nelle settimane precedenti il concerto si è fatta strada - grazie ai buoni uffici di Stefano Termanini - l’idea di tenere il concerto sul violino che suonava egli stesso e che giace con tutti gli onori nella stessa sala dove è conservato il Cannone di Paganini. Per un verso mi è mancato il fiato: Sivori era un virtuoso, e suonare senza il mio strumento sarebbe stato un bel problema. Per un altro mi è sembrata un’occasione che non si sarebbe ripresentata: se il suono di Sivori era dormiente nel suo violino, forse a suonare la sua musica si sarebbe risvegliato, ed io più di tutti l’avrei potuto riconoscere, perché io solo avrei potuto capire quanto era farina del mio sacco e quanto il violino avrebbe fatto da sé.

Con questi pensieri mi sono presentato alla prima prova, a Palazzo Tursi, emozionato non solo all’idea di suonare il violino di Sivori ma anche al pensiero che l’avrei fatto sotto al naso di quello di Paganini.


C’è sempre una certa sensazione di indiscrezione a prendere in mano un violino non proprio, almeno per me: si sa che non ci si potrà limitare ad un incontro formale e l’inizio è sempre un po’ imbarazzante. Così, le prime note sul Sivori sono state un po’ deludenti: non so quanti anni fossero che non veniva suonato e la prima impressione è stata di una certa goffaggine. Forse era ruggine, o semplicemente troppe aspettative. Ma ho dovuto subito smettere di pensare: il tempo a disposizione aveva un limite preciso e bisognava farsi un’idea dello stato del violino, decidere se e come intervenire insieme al liutaio conservatore Bruce Carlson, e provare tutto il programma, anche senza il pianoforte, per rendersi conto delle reazioni sue e mie.

Prima, mi sono trovato un angolo della Sala Giunta Vecchia - dove il violino mi è stato fatto trovare - per iniziare a guardarci dritto negli occhi, lui ed io. Poi, ho chiesto di trasferirci nell’adiacente Salone di Rappresentanza - dove il concerto si sarebbe tenuto - e abbiamo provato a fare sul serio, sempre sotto lo sguardo vigile delle persone che del violino hanno la responsabilità.

Una volta in sala, poco alla volta il torpore è svanito, il suono ha iniziato a correre potente e mi è sembrato di avere tra le mani un giovanotto, pieno di vita e di voglia di suonare, partecipe dell’avventura.


La storia di Sivori è straordinaria, e quella del suo violino non è da meno. Sivori è stato l’unico allievo di Paganini. Paganini lo conobbe fanciullo e decise, contrariamente alle proprie abitudini, di prendersi cura della sua educazione violinistica. Per anni, anche da lontano, continuò a tenersi informato dei suoi progressi e dei suoi successi, e da ultimo, in un ideale passaggio di consegne, gli cedette un violino, perché avesse uno strumento degno di sé e delle occasioni che aveva saputo conquistarsi. Si trattava di un violino ricevuto in dono, in segno di ammirazione, da Jean-Baptiste Vuillaume - il maggior liutaio francese dell’Ottocento - che l’aveva costruito a copia del Cannone, approfittando di una volta che Paganini aveva, malvolentieri, dovuto lasciarglielo per una riparazione.

Quel violino divenne la voce di Sivori, che gli rimase fedele tutta la vita. In una lettera, Sivori racconta di averlo avuto compagno di viaggio “dans toute l’Europe, en France, en Belgique, en Angleterre, en Hollande, en Allemagne, en Autriche, en Russie, en Suisse, en Espagne, en Portugal, etc., et dans les deux Amériques , soit soixante-sept villes des Etats-Unis, puis La Havane, le Pérou, le Chili, le Brésil, Buonos Aires, Montevideo, etc.”, e l’elenco dà l’idea del successo ottenuto, anche tenuto presente quanto avventurosi fossero i viaggi a quell’epoca.

Proprio un viaggio per poco non è fatale al violino. In una gelida notte, Sivori è in viaggio verso Venezia con un Amati e il Vuillaume sulle ginocchia, assieme ad un prete suo ammiratore e al segretario Belloni, che era stato il segretario di Liszt. Il peso della carrozza e dei cavalli sfonda il ghiaccio su cui stanno correndo, e tutti si ritrovano imprigionati nella cabina, con l’acqua fino al collo. Entrambi i violini riportano danni. Per ripararli, viene indicato il barbiere di un paese vicino. Sivori la prende per una spiritosaggine ma, incuriosito, decide di fargli visita e un mese più tardi ce barbier ‘di qualità’ me rendit mon Amati en parfait état et mon Vuillaume (qui avait le plus souffert) entièrement ressuscité”.


Vi sarà rimasta la voglia di sapere com’è andata al concerto, se si è materializzato il suono di Sivori o no.

Onestamente, non posso dire di aver vissuto l’esperienza che racconta Renato Zanettovich - il violinista del Trio di Trieste -, che da uno Stradivari appena ricevuto sentiva non il suo ma il suono di Oistrach, che ne era stato a lungo il proprietario. Però, fin da subito, ho avuto la sensazione che a suonare quel violino si aprissero prospettive nuove, che certe difficili combinazioni riuscissero assai più agili senza un vero motivo, e che la mia esecuzione si disponesse con naturalezza verso una maniera che fino ad allora non avevo immaginato. Non so se il violino di Sivori mi abbia veramente guidato; certo, però, sembrava a suo agio con quella musica. A me, rimane l’emozione di aver suonato la musica di uno dei più grandi violinista della storia con il suo violino. Un onore di cui sono grato.


Fulvio Luciani